Due cose (non ovvie) da tenere d’occhio #9 – Call of Debt

Debt is back

Il debito è tornato a far preoccupare per la stabilità del sistema finanziario internazionale, soprattutto per i paesi in via di sviluppo. Dopo il caso Sri Lanka, paese a medio reddito improvvisamente sprofondato la scorsa primavera nella povertà e nell’insicurezza alimentare, potrebbe essere ora il turno del Ghana, altro stato fino a poco tempo fa considerato un modello di sviluppo. E, purtroppo, potremmo essere solo all’inizio.

Cosa è successo: Sembra ormai chiaro che il Ghana potrebbe dichiarare “default” (incapacità di ripagare i propri debiti con i creditori internazionali e richiesta di una ristrutturazione del debito) già nei primi mesi del 2023. Il paese potrebbe quindi presto trasformarsi nel temuto “secondo anello” della catena di banche rotte di paesi in via di sviluppo dopo quella dello Sri Lanka la scorsa primavera. Una catena che rischia di investire violentemente soprattutto paesi a medio reddito, ovvero paesi che sembravano essersi lasciati alle spalle povertà cronica e insicurezza alimentare.Perché proprio ora? Per quanto il default sul debito ne sarebbe probabilmente il primo grande sintomo, la risposta va però piuttosto ricercata in un altro fattore chiave: le “ragioni di scambio” (in inglese: “terms of trade”). Come tanti altri termini astrusi che si usano in economia, anche questo serve in realtà per definire un concetto piuttosto semplice: mettiamo che voi siate uno stato che commercia latte e che il prezzo internazionale del latte sia 10 euro al litro. Mettiamo che usiate poi i proventi del latte per comprare dall’estero fette biscottate, il cui prezzo solitamente si aggira anch’esso intorno ai 10 euro al chilo. Siete perciò abituati che la vostra esportazione di 50 litri di latte al mese vi permette di comprare 50 chili di fette biscottate. Mettiamo però che, improvvisamente, il prezzo delle fette biscottate passi da 10 a 20 euro, mentre quello del latte rimane stabile a 10. Improvvisamente potete permettervi solo 25 chili rispetto ai 50 a cui eravate abituati. Quello che vi è capitato, quindi, è un “shock delle ragioni di scambio” (“terms-of-trade shock). E’ anche, ovviamente in versione più grande, quello che sta succedendo a moltissimi paesi (compresa l’Italia) dall’inizio dell’anno, ovvero da quando i prezzi internazionali delle materie prime agricole ed energetiche è cresciuto quasi esponenzialmente. Per quei paesi, soprattutto se relativamente poveri, che hanno bisogno di importare gran parte del loro fabbisogno di cibo e idrocarburi (e che non esportano prodotti i cui prezzi non hanno visto un aumento simile) gli ultimi mesi sono stati molti difficili (abbiamo parlato qui anche dell’effetto che la disperata ricerca di fonti alternative al gas russo da parte dei paesi europei sta avendo sugli approvvigionamenti dei paesi piu’ poveri). Per molti di essi, inoltre, questa situazione si è sovrapposta con l’aumento del costo del credito che ha improvvisamente reso il rifinanziamento dei debiti esteri preesistenti assai più costoso (ne abbiamo parlato qui a proposito dell’Egitto). Il risultato è che, dopo mesi di grandi difficoltà e di consumo delle riserve di valuta rimanenti, molti paesi, a cominciare proprio dal Ghana, si trovano molto vicini a dichiarare ufficialmente il default del proprio debito. Ma il Ghana potrebbe non essere solo, a rischio ci sono infatti altri paesi come Pakistan, Laos, il Tajikistan e addirittura paesi molto vicini a noi come la Tunisia e l’Egitto.

Perchè è importante: dalle prime proiezioni sui raccolti in gran parte del mondo per la prima metà del 2023 sembra evidente che gli alti costi per le materie prime agricole si prolungheranno ancora per parecchio. Lo stesso potrebbe valere per gli idrocarburi, anche a causa dei significativi tagli voluti dai membri dell’OPEC+ (OPEC + Russia) nelle ultime settimane. Se durante il 2022 gran parte dei paesi investiti da questo shock sono riusciti a barcamenarsi ricorrendo alle riserve accumulate precedentemente, le cose rischiano di farsi insostenibili soprattutto per quelle economie ancora danneggiate dagli anni della pandemia e caratterizzate da alti debiti esteri preesistenti. Alcuni paesi come Pakistan ed Etiopia rischiano di vedere cancellati anni di sviluppo in un periodo in cui sono già alle prese con il grave impatto di shock climatici, come le inondazioni di questo autunno in Pakistan e la quinta siccità consecutiva nel Corno d’Africa per l’Etiopia. Ma scenari simili a quanto accaduto in Sri Lanka potrebbero riguardare anche paesi assai più vicini a noi come la Tunisia, con potenziali gravi effetti per l’Europa e l’Italia in termini di flussi migratori e instabilità politica.

Call of Duty per l’antitrust

Cosa è successo: Il leitmotif del 2022 sembra essere che la “pacchia é finita”, sopratutto per le Big Tech. L’esposto della Federal Trade Commission (FTC, l’autorità antimonopoli americana) contro l’acquisizione da parte di Microsoft del gigante dei videogiochi Activision-Blizzard sembra confermare questa tendenza. Ma la fragilità dell’azione antitrust rivela anche quanto le impressioni possano ingannare: ancora non è detto che il governo americano riesca a bloccare l’acquisizione, e le azioni di Washington contro le aziende tech sono ancora in una fase embrionale.L’accordo fra Microsoft e Activision rappresenta infatti uno dei test più importanti di questo nuovo impeto antimonopolista portato avanti dalla presidente della FTC Lina Khan, la progressista Lina Khan. Sarebbe la più grande acquisizione mai effettuata da Microsoft e la renderebbe la terza azienda di videogiochi in termini di fatturato, dietro solo a Tencent e Sony.In un comunicato stampa, la FTC ha sottolineato che “With control over Activision’s successful franchises, Microsoft would have both the means and the motive to harm competitors by manipulating Activision’s prices, degrading the quality of Activision’s games or the gamer experience on rival game consoles and services, altering the terms and timing of access to Activision’s content, or withholding content from competitors altogether, resulting in harm to consumers”.Oggetto del contendere è in particolare Call of Duty, il gioco più di successo di Activision. Microsoft ha dichiarato che il gioco continuerà a essere disponibile sulle console di altre aziende anche dopo l’accordo, invece di diventare un’esclusiva Xbox come molti temevano. Lo scorso dicembre, la FTC si è opposta a un’altra grande fusione tech, l’acquisto cioè da parte di Nvidia del progettista di chip Arm. In seguito all’opposizione della FTC, le aziende hanno deciso di abbandonare l’accordo.

Perché è importante: Queste non sono le uniche azioni di alto profilo intraprese dalla FTC. Giovedì inizierà infatti il processo contro Meta, con la quale Khan spera di bloccare l’acquisto da parte di Zuckerberg di un’azienda specializzata in realtà virtuale. Meta non è infatti riuscita a far archiviare il caso, dopo aver sostenuto per mesi che il governo non fosse riuscito a dimostrare che il mercato della realtà virtuale è concentrato e presenta elevate barriere all’ingresso.Durante l’estate, Lina Khan e gli altri due commissari democratici sul board della FTC avevano votato per bloccare l’accordo, mentre due repubblicani si sono espressi in senso contrario. Questa divisione fra commissari democratici e repubblicani era presente anche nella decisione su Microsoft – ed è proprio questo l’elemento di maggiore incertezza riguardo il nuovo attivismo antitrust. Sarà esso in grado di avere vita lunga nonostante sia per ora soprattutto appannaggio del lato più “blu” dello spettro politico americano? Le conseguenze saranno in ogni caso sentite in tutto il mondo, data l’importanza di Washington e Wall Street nel sistema finanziario e digitale globale.

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