Due cose (non ovvie) da tenere d’occhio #10 – Chips e Tunisia

Tunisia al bivio

Il fallimento delle elezioni e il posponimento dell’accordo col Fondo Monetario Internazionale (FMI) mettono seriamente a repentaglio la stabilità di un paese di 12 milioni di persone alle porte dell’Italia.

Cos’è successo: La settimana appena conclusa è stata fatale per la Tunisia in molti aspetti. In primo luogo, il FMI ha annunciato a sorpresa il posponimento della chiusura dell’accordo per 1,9 miliardi di dollari che deve servire al paese per stabilizzare la sua difficile situazione finanziaria, la quale negli ultimi mesi ha causato crescente inflazione e carenze di generi di prima necessità in tutto il paese. L’annuncio arriva a sorpresa, dopo che una prima stesura dell’accordo era stata provvisoriamente approvata dal team tecnico del fondo a inizio autunno. I motivi di questo posponimento, per ora indefinito, non sono chiari. Il motivo principale potrebbe essere la mancanza di garanzia da parte delle autorità tunisine sulle principali riforme chieste dal Fondo come condizione, e in particolare la rimozione dei costosi sussidi su benzina e carburanti. Il governo potrebbe infatti essersi tirato parzialmente indietro dopo che l’UGTT, il potente sindacato nazionale tunisino, ha minacciato nelle ultime settimane grandi proteste se i sussidi fossero stati toccati.

A complicare ulteriormente le cose ci sono inoltre i deludenti risultati delle elezioni parlamentari tenutesi questo weekend. Secondo i dati diffusi dalle stesse autorità, l’affluenza sarebbe ai minimi storici, intorno all’8,8 percento. Le regole estremamente stringenti imposte dal presidente Kais Saied per le candidature hanno infatti reso impossibile per qualunque figura dotata di qualche seguito popolare la presentazione della propria candidatura. Il risultato delle elezioni rappresenta un altro colpo per la legittimità del presidente, che nel luglio 2021 ha sciolto il parlamento e in seguito fatto approvare una nuova costituzione in potenziava molto i poteri del presidente a discapito di quelli del parlamento. Finora Saied ha saputo resistere le dure critiche provenienti soprattutto dall’Occidente per la sua presunta svolta autoritaria grazie al forte sostegno popolare di cui ha goduto nell’ultimo anno e mezzo. Tale sostegno, però, sembra progressivamente dissiparsi con il peggioramento dell’economia, e il risultato di queste elezioni rappresenta certamente un segnale molto preoccupante in questo senso.

Perché è importante: senza un accordo con l’FMI la Tunisia rischia seriamente un collasso finanziario nel 2023, con gravi implicazioni sia per le condizioni di vita della popolazione, sia per la stabilità politica, anche data la crescente fragilità del governo al potere. Ovviamente tali sviluppi sono guardati con grande preoccupazione dall’Europa, e in particolare dall’Italia. In caso di seria crisi economico-politica, dalla Tunisia rischiano di riversarsi nel Mediterraneo diretti verso le coste europee grandi flussi di migranti. Numeri relativamente piccoli hanno già iniziato a partire, e la grande maggioranza dei giovani dichiara di prendere seriamente in considerazione l’idea di lasciare il proprio paese.

Una grave destabilizzazione del paese apre inoltre scenari molto preoccupanti anche per le possibili infiltrazioni di gruppi estremisti nel paese, soprattutto dalle vicine regioni libiche e del Sahel. Già in passato la Tunisia ha visto la nascita di gruppi locali estremisti, molti dei quali sono partiti tra il 2014 e il 2017 per unirsi all’ISIS in Siria e Iraq.

Niente chip sotto l’albero

Continua la campagna degli Stati Uniti contro l’industria dei chip cinese.

Cosa è successo: YMTC, abbreviazione di Yangtze Memory Technologies Co. è stata inserita nella “Entity List” del Dipartimento del commercio americano, ponendo limiti ai rapporti che aziende americane possono avere con questa azienda. Aggiungendo YMTC alla Entity List, gli Stati Uniti le impediranno di procurarsi ulteriori forniture necessarie per la produzione di chip di memoria flash, a meno che non ottenga una licenza speciale. Ai fornitori americani è vietato esportare verso le aziende della lista senza l’approvazione, che in molti casi potrebbe venir negata. Gli analisti del dipartimento hanno spiegato alla stampa americano detto che l’ultima versione della lista nera serve a colmare le lacune delle ampie misure imposte in ottobre, che consentono a Washington di bloccare l’accesso cinese ai chip di fascia alta, al know-how e agli strumenti per produrli.

Un’ulteriore aggiunta è anche l’importante sviluppatore di apparecchiature per la produzione di chip Shanghai Micro Electronics Equipment, che rappresenta l’unica speranza della Cina di sviluppare macchine litografiche proprie, lo strumento critico per la produzione di chip avanzati attualmente dominato dall’azienda olandese ASML.

Perché è importante: La battaglia tecnologica infiamma proprio in un momento di maggior disensione nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, che avevano toccato il proprio punto più basso all’inizio dell’anno in seguito alla visita a Taiwan del presidente della Camera Nancy Pelosi. Dopo l’incontro tra Biden e Xi al vertice del Gruppo dei 20 a Bali il mese scorso, gli Stati Uniti hanno anche deciso di annacquare una proposta legislativa che avrebbe nominato Taiwan “importante alleato non-NATO”, segno che Washington sta cercando di evitare un’altra prova di forza con Pechino.

I chips sono un particolare oggetto del contendere perché la loro importanza, secondo il think tank Bruegel, “può essere paragonata a quella del petrolio o, più in generale, dell’energia. Proprio come l’energia, nelle sue varie forme, i chip sono diventati un input essenziale nella produzione a causa della digitalizzazione, per la maggior parte se non per tutte le attività economiche. Una loro mancanza può causare una grave interruzione della produzione manifatturiera”.

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IMMAGINE GENERATA DA INTELLIGENZA ARTIFICIALE DALL-E 2 DI OPEN AI DIGITANDO “Tunisia in hard economic and political difficulties”

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